LA NADEF E LA REVISIONE DELLA “PENALTY PROTECTION”. UN BENEFICIO FISCALE (ANCHE) PER LE IMPRESE

L’analisi della NADEF del 29 settembre 2021 offre uno spunto di riflessione: l’ordinamento tributario risulta carente (anche) sotto il profilo della penalty protection, che, come suggerisce la parola, rappresenta un “riparo” dalle sanzioni per i contribuenti onesti e aumenta il livello di tax compliance; ma andiamo con ordine.

Di Edoardo Belli Contarini

Nella predetta Nota di aggiornamento (cfr. pp. 100 e ss.) si registra un aumento delle entrate tributarie strutturali derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo dei contribuenti ovvero della c.d. tax compliance; tali risorse, stimate in 6,7 miliardi di euro, saranno destinate ad alimentare un “Fondo speciale” dedicato ad interventi di riforma del sistema tributario e segnatamente a finanziare interventi di riduzione della pressione fiscale.

Su tali basi, un intervento normativo “win win”, sia per l’erario, in termini di aumento della compliance, sia per il contribuente, in termini di disinnesco delle sanzioni, non di rado esorbitanti, potrebbe attuarsi rafforzando la c.d. “penalty protection”.  

Nel dettaglio, trattasi di un istituto premiale, ad oggi purtroppo poco diffuso, per effetto del quale il contribuente, a determinate condizioni – predisposizione di un set documentale ad hoc – fruisce di un regime fiscale di vantaggio, con contestuale disapplicazione delle sanzioni tributarie in caso di rettifica erariale.

In particolare, si fa riferimento al regime di transfer price e all’agevolazione patent box, in relazione ai quali viene prevista (anche) la disapplicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione, sia sul piano tributario, sia sul versante penale, a seguito dell’adempimento di determinati obblighi documentali da comunicare ritualmente all’amministrazione finanziaria.

L’altro strumento di penalty protection, altrettanto poco diffuso, è rappresentato dalla c.d. “cooperative compliance” (i.e, adempimento collaborativo), preordinato ad arginare il c.d. “rischio fiscale” ovvero di operare in violazione di norme e principi tributari, che tuttavia risulta applicabile ad una platea di soggetti molto limitata, cioè soltanto nei confronti delle imprese che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a 5 miliardi di euro (cfr. d.lgs n. 128/2015 e la recente risoluzione AdE n. 49/E del 22 luglio 2021, nonché il d.m. 30 marzo 2020, che ha ridotto la soglia di accesso alla procedura, prima stabilita in 10 miliardi, peraltro soltanto per il biennio 2020-2021).

            Dunque risulta evidente l’insufficienza del perimetro di applicazione della penalty protection, limitato sia sotto il profilo soggettivo, sia ratione materiae.

Tale deficit di protezione risulta tanto più acuto se si considera che in Italia il c.d. “rischio fiscale” ovvero “interpretativo” è molto alto, a causa di una giustizia tributaria poco efficiente e di una legislazione caotica, incessante, complessa, che non di rado ingenera conflitti interpretativi persino tra l’Agenzia e la Corte di cassazione. Si pensi alle più recenti querelle in materia di credito di imposta R&S, “superbonus 110%”, tassazione (“in entrata” o “in uscita”” del trust, nonché in tema di pianificazioni fiscali tacciate di “elusività”, nonostante la disciplina dell’“abuso del diritto” ex art. 10-bis legge n. 212/2000.

Inoltre, acuisce tale deplorevole fenomeno la circostanza per cui spesso l’illecito tributario viene punito con un cumulo eccessivo di sanzioni, sia pure giustificabile sul piano teorico ovvero del principio del ne bis in idem, ma che purtroppo porta con sé effetti perniciosi per l’impresa. Infatti, non di rado, la reazione punitiva risulta insostenibile, considerato che le sanzioni tributarie possono concorrere con quelle penali, principali e accessorie (ex d.lgs. n. 74/2000), quelle pecuniarie e/o interdittive (ex d.lgs. n. 231/2001, salva l’adozione dei rimedi ivi previsti) e quelle c.d. “improprie” (ad es. l’indeducibilità ai fini delle imposte sui redditi dei costi da reato).

A tale concorso di pene si aggiungono poi le ipotesi di raddoppio delle sanzioni nei casi, ad esempio, di indebita compensazione di crediti di imposta reputati – invece che “non spettanti”, in carenza di uno dei requisiti tecnici “ambigui” di cui al Manuale OCSE di Frascati – “inesistenti” ovvero nelle ipotesi di redditi che si presumono prodotti in evasione di imposta – con inversione dell’onere probatorio – nei paesi black list, peraltro a volte di incerta individuazione.

In tal modo, il cumulo delle sanzioni, applicate talvolta – in presenza del periculum in mora – in via anticipata e cautelare dall’Agenzia delle entrate o dal giudice penale, contrasta anzitutto con il principio di proporzionalità di matrice europea, e neppure assolve alla funzione tipica della pena di prevenzione e di deterrenza, risultando piuttosto tale concorso, a tacer d’altro, disincentivante per l’attività di impresa, se non anche, a volte, espropriativo sul piano patrimoniale.

Aggiungasi che tale scenario non migliora per effetto degli altri istituti e/o principi generali, pure codificati da tempo – si pensi all’interpello, alle condizioni di “obiettiva incertezza normativa”, ai principi di collaborazione tra fisco e contribuente e a quello di buona fede – poiché, per un motivo o per un altro, tali “rimedi” rimangono “lettera morta”, risultano inadeguati, di scarsa applicazione. E’ il caso, ad esempio, degli “indici” rilevatori dell’“obiettiva incertezza normativa”, individuati in modo così rigoroso dalla Cassazione, da risultare nel concreto irrealizzabili; quanto al ruling poi, i tempi di risposta risultano troppo dilatati e, non di rado, l’approccio dell’amministrazione finanziaria sembra troppo rigido e parziale.

Per tali ragioni, quindi, appare necessario e urgente rimodulare e ampliare gli istituti di penalty protection, eliminando o riducendo il “rischio fiscale” delle imprese di svolgere la propria attività in violazione delle norme tributarie, con insopportabili conseguenze sanzionatorie e patrimoniali.

Del resto, come accennato all’inizio, tale revisione presenta un ottimo rapporto “costi-benefici”, considerato che incide positivamente sul gettito erariale, rappresenta un beneficio fiscale incentivante per l’attività delle imprese, incluse quelle non residenti, che devono essere incentivate ad investire in Italia, e, soprattutto, compliant con la normativa europea in materia di aiuti di Stato.

Al fine di realizzare tale obiettivo, sarebbe auspicabile, oltre che agevole, intervenire nei seguenti termini:

  • estendere l’applicazione della penalty protection ad altri settori a “rischio interpretativo”, allo stato, a regime soltanto per il transfer price e per il patent box; a tal proposito, sarebbe opportuna l’estensione dell’istituto premiale anche ai crediti d’imposta per ricerca e sviluppo ovvero ai “bonus” per la riqualificazione energetica ed edilizia, necessitando anch’essi di un set documentale ad hoc;
  • ridurre drasticamente la soglia di accesso per le imprese alla cooperative compliance;
  • abbreviare i tempi di risposta e ampliare le ipotesi di interpello; inoltre, il ruling dovrebbe essere presidiato da un’amministrazione finanziaria più imparziale (ad esempio il MEF) e più sensibile alla “sostanza”, piuttosto che alle entrate tributarie;
  • riformulare in melius le “obiettive condizioni di incertezza normativa” di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 472/1997;
  • disinnescare il cumulo delle sanzioni, in sintonia con il generale principio del ne bis in idem, in presenza della stessa condotta materiale (reputata) illecita ovvero in relazione alla commissione degli stessi fatti;
  • graduare la reazione sanzionatoria in ossequio al principio di proporzionalità, intervenendo – anche – sul concetto di “sproporzione” di cui all’art. 7, comma 4 del d.lgs. n. 472/1997.

Tali interventi sono sostanzialmente “a costo zero”, risultano appealing per la pianificazione e gli investimenti delle imprese e al tempo stesso aumentano il livello di compliance e, come rilevato anche nella NADEF, incrementano pure il gettito erariale. Tutto ciò senza la necessità di introdurre ex post malcelate e deleterie forme di condono dei c.d. “accessori”, cioè delle sanzioni e degli interessi, camuffate da neologismi quali “rottamazione”, “pace fiscale”, “saldo e stralcio”.