VERSO IL CAPITALISMO INCLUSIVO

da Kelso a Papa Francesco per trovare un modo di far funzionare il sistema per tutti.

Di Riccardo Fratini

Lo scorso 14 aprile 2021, un gruppo di tredici accademici ed economisti di importanti università inglesi e americane (Cambridge, Oxford, Un. of Florida, Assumption College, Syracuse Un., Un. of Tennessee, Un. of Bremen, Un. of Santa Clara, Eckerd College, Emory) ha sottoscritto una lettera di endorsement per il “Capitalismo Inclusivo”. Alle basi della dichiarazione, i professori hanno individuato la preoccupazione per l’erosione delle prospettive economiche del numero crescente di poveri e della classe media, la crescente concentrazione della ricchezza e l’urgente necessità di promuovere una crescita equa ed ecosostenibile.

Sul punto hanno ritenuto rivoluzionario il lavoro di Robert Ashford della Syracuse University (dove ha studiato anche il Presidente Biden), che a loro parere avrebbe fornito il “contributo più importante alla teoria economica in molti decenni” e fornido “un’idea con molte pratiche, implicazioni politiche vantaggiose per le generazioni attuali e future“.

Cos’è il capitalismo inclusivo?

L’idea “geniale” del prof. Ashford deriva da un libricino del 1951 pubblicato negli Stati Uniti da due studiosi, Mortimer Adler e Louis Kelso, dal titolo il “Manifesto Capitalista”, disponibile in versione gratuita pdf sul sito del Kelso Institute, ma solo in lingua inglese.

Il libricino partiva dall’analisi dell’ideologia antagonista del socialismo, concludendo che essa, come poi la storia ha confermato, se portata alle sue estreme conseguenze, sarebbe stata antagonista ad una concezione liberale e democratica della società. Per questa stessa ragione, le sue forme “mitigate”, cioè quelle riformiste che tendano a correggere attraverso l’autorità degli Stati i problemi generati dalle dinamiche di mercato genererebbero parimenti delle dinamiche disfunzionali (burocrazia e limitazioni della libertà).

La teoria economica proposta da Louis Kelso, invece, propone di perfezionare il capitalismo sulla linea dei suoi stessi principi, senza introdurre correttivi dalla teoria socialista. Solo così si potrebbe creare quella società economicamente libera e priva di classi che possa supportare la democrazia politica e preservare le istituzioni di una società libera.

Il prof. Ashford in un articolo relativamente recente su “The European Financial Review” (Oct/Nov 2012) specificava come questo processo potrebbe compiersi: favorendo l’estensione del numero dei proprietari del capitale delle imprese attraverso i futuri profitti generati dal capitale stesso.

Il concetto finanziario appare complesso per i non addetti ai lavori, ma di base non è affatto difficile da comprendere: ad oggi le grandi imprese del mondo coinvolgono nella creazione del valore gran parte della popolazione attiva, ma i capitali (rappresentati da quote/azioni) sono detenuti dai (relativamente) pochi soggetti che hanno deciso di investire il proprio denaro in questa forma di risparmio, confidando nell’aspettativa di ricavare una porzione del proprio reddito non dal loro lavoro, ma dai ricavi che derivano dalla sola proprietà del capitale. Questo processo finanziario è un processo vantaggioso sia per le imprese che per i risparmiatori, dato che le prime sono interessate ad ottenere finanziamenti dal mercato per effettuare nuovi investimenti, mentre i secondi sono interessati a far fruttare i propri risparmi.

L’idea di Ashford, in breve, sarebbe quella di ideare delle politiche nazionali volte non ad espropriare i redditi delle persone fisiche residenti sul territorio nazionale per ridistribuirli ai meno abbienti (come avviene il linea di massima oggi), ma piuttosto a favorire che quegli stessi redditi siano indirizzati all’acquisto da parte della popolazione attiva di crescenti porzioni del capitale delle imprese rilevanti, in modo tale da espandere la base dei proprietari delle imprese e, in questo modo, far sì che una porzione sempre più rilevante delle rendite da capitale sia diretta ad un numero crescente di persone, indipendentemente dal loro apporto quali lavoratori nelle imprese stesse.

Papa Francesco e il Capitalismo Inclusivo

Già all’inizio di dicembre del 2019, papa Francesco si era rivolto con queste parole ai membri del nuovo “Consiglio per un capitalismo inclusivo con il Vaticano”: «È necessario e urgente un sistema economico giusto, affidabile e in grado di rispondere alle sfide più radicali che l’umanità e il Pianeta si trovano ad affrontare. Vi incoraggio a perseverare lungo il cammino della generosa solidarietà e a lavorare per il ritorno dell’economia e della finanza a un approccio etico che favorisca gli esseri umani. Avete raccolto la sfida, cercando modi per rendere il capitalismo uno strumento più inclusivo per il benessere umano integrale».

Su questa idea, molte imprese hanno già dichiarato di voler cambiare i loro modelli di business e di alcune di esse il Papa ha lodato “l’obiettivo di estendere a tutti le opportunità e i benefici del nostro sistema economico. I vostri sforzi ci ricordano che coloro che si impegnano nella vita economica e commerciale sono chiamati servire il bene comune cercando di aumentare i beni di questo mondo e renderli più accessibili a tutti“.

L’auspicio è che la nascita di queste esperienze costituisca il primo passo per la riforma del sistema finanziario ed economico mondiale per renderlo in grado di gestire e includere l’enorme massa di piccoli e grandi risparmiatori che sino ad oggi sono stati di fatto esclusi dal sistema.

I benefici dell’adozione delle politiche suggerite da Ashford potrebbe essere effettivamente significativo, specialmente se gli stati fossero effettivamente disposti a concedere politiche di sgravi fiscali che renderebbero l’espansione della base della proprietà del capitale (i.e. broadening capital ownership) una misura a “costo zero” fruibile da tutti con la devoluzione (almeno) di una parte delle uscite fiscali allo scopo di finanziare le imprese nazionali.

D’altronde l’effetto di risulta di simili politiche sarebbe, almeno in un primo momento, quello di garantire una specie di reddito di cittadinanza, con la significativa differenza che esso sarebbe garantito con un saldo positivo della produttività anziché con una semplice ridistribuzione, perché il reddito derivante sarebbe il frutto dell’aumento della capitalizzazione delle imprese e non della distribuzione di redditi.

Per promuovere questa cultura a livello di corsi universitari si terrà il 3 e 4 dicembre una conferenza online ospitata dalla Syracuse University (NY) a cui personalmente non mancherò di partecipare.